Lo stock non è la risposta per i vostri video contenuti

di Massimiliano Milic, produttore e regista di Terroir Films

In questi giorni ha fatto parlare di sé il video ufficiale del Ministero del Turismo per la nuova campagna di promozione turistica dell’Italia all’estero. Un video che promuove l’Italia, le sue bellezze architettoniche e quelle naturalistiche all’estero. Appaiono anche diverse persone intente a camminare per borghi storici e, all’ombra di una pergola di un’azienda vitivinicola, a bere del vino. Ed è proprio quel vino e quella pergola che hanno creato scalpore. Infatti, le riprese ritraggono una cantina di vini che si trova in Slovenia anziché in Italia. Per di più, questa singola clip di persone che degustano il vino è stato acquisita dal noto portale di stock Artgrid.

Il video è finito al centro delle polemiche e per certi versi è stato oggetto di derisione.

Anche perché la campagna è stata incentrata sulla promozione del Made in Italy, dell’italianità e delle eccellenze che circondano il Bel Paese. Se la campagna promozionale fosse invece stata impostata sull’Italia come paese complesso dalle mille sfaccettature culturali includendo in questo discorso le comunità linguistiche come quella slovena (di cui ne sono parte) di Trieste e di Gorizia e quella tedesca del Sud Tirol, molto probabilmente sarebbe passata inosservata.

Ma questo non è il centro del mio discorso.

Vorrei parlare della scrupolosità e dell’accuratezza che una casa di produzione, un’agenzia di comunicazione o un ente pubblico dovrebbe perseguire quando realizza un prodotto video utilizzando del materiale stock.

Facciamo un passo indietro.

Video, video, video. In questi anni siamo sempre più sommersi da contenuti audiovisivi sui social media e sul web: spot, film, serie tv.

Realizzare un video ad hoc, con attori in carne ed ossa e una troupe che si muove da un set all’altro pagando vitto, alloggio e a volte anche diarie ha un costo spesso esorbitante. Un costo che non tutti possono permettersi. Quante volte mi è capitato – come casa di produzione per video pubblicitari – di perdere una gara, un bando, un appalto perché avevo preparato un preventivo troppo alto? Tante, tantissime volte. E non accade soltanto a me come casa di produzione Terroir Films, ma anche a piccoli enti pubblici e aziende private con un reparto video internalizzato. E succede anche a moltissime agenzie di comunicazione che spesso devono rincarare i costi di un preventivo al cliente perché includono, oltre al loro servizio in house, anche quello di esterni, in questo caso di chi realizza le riprese (appunto la cdc, casa di produzione).

Come fare quindi per accaparrarsi il cliente, a volte (non è la prassi, eh), senza perderlo perché tu agenzia di comunicazione costi troppo? Semplice, utilizzando materiale proveniente da piattaforme come Artgrid, Shutterstock, Pond5 e tanti altri.

Queste piattaforme offrono a prezzi modici in abbonamento o attraverso l’acquisto di una singola clip realizzata da un filmmaker freelance o una casa di produzione. Clip che puoi utilizzare spesso senza limiti di tempo e di uso. Qui il filmmaker o la cdc guadagna una percentuale sulla vendita della clip e il resto va alla piattaforma stock. Così con un abbonamento di 600 dollari all’anno alla piattaforma Artgrid, un ente, un’agenzia, un privato, una stessa cdc come Terroir Films può ottenere e utilizzare un sacco di materiale per le loro future produzioni video.

Qui direte voi: ma cosa c’è di malvagio in tutto ciò? Non c’è niente di male, in effetti.

Noi come piccola cdc Terroir Films utilizziamo queste piattaforme (e noi stessi carichiamo anche del materiale online su stock) e anche la più grande agenzia di comunicazione d’Italia Armando Testa lo fa.

Tuttavia il problema principale è come viene utilizzato questo materiale stock.

Le domande che spesso io e il mio team ci poniamo sono molteplici: questa clip da stock si integra bene al video che stiamo realizzando?  È pertinente?

Nel caso specifico della promozione turistica di un territorio: siamo sicuri che questa clip sia legata a un determinata area geografica? Abbiamo fatto – passatemi il termine – uno stock checking? Quella clip il cui titolo (e le parole chiave) su Artgrid è “beautiful wineyards in Italy” corrisponde alla verità? 

Vi racconto il mio approccio in merito spiegandovi come mi sono accorto che l’azienda di vino ritratta nel video, realizzato da Armando Testa per la campagna di ENIT guidato dall’Onorevole Daniela Santanché, è slovena anziché italiana come si voleva far credere.

  • Come ho capito che era una cantina slovena?

Come detto al minuto 00:27 appare questa immagine conviviale: ragazzi e ragazze bevono del vino all’ombra di una pergola con alle spalle una casa di  campagna. Sul tavolo di fronte è appoggiata una bottiglia di vino.

Incuriosito, ho ingradito l’immagine della bottiglia, in particolare sull’etichetta.

Mi sono detto: “ma quella bottiglia la conosco! Non sembra che sia una tipica e meravigliosa cantina italiana, ma bensì della Slovenia perché sull’etichetta è presente un segno grafico tipico delle lingue slave”. Ho fatto una ricerca delle cantine e mi sono imbattuto in questa etichetta che è la stessa della bottiglia:

Successivamente ho analizzato l’ambiente in cui si trovano i ragazzi: una corte con i muri rosa e le persiane verde acqua. Ho immaginato che questi elementi architettonici coincidessero con la cantina che appare in etichetta. Ho così controllato su google, su google maps e su trip advisor: et voilà, le immagini del video dei muri e delle persiane coincidono con quelle della cantina slovena.

  • Come ho capito che il materiale proveniva da archivio stock?

Beh, questa è sia fortuna, ma anche memoria fotografica. Il mio lavoro di creativo è anche quello di osservare ciò che fanno gli altri, dalla concorrenza cdc ai piccoli videomaker. La fortuna vuole che io mi sia già imbattuto nel materiale di questo videomaker Hans Schepps su Artgrid. Ben ricordavo, infatti, che queste clip erano girate a cavallo tra l’Italia e la Slovenia, nel Carso italiano e quello sloveno – una zona che io conosco bene lavorando e abitando da queste parti.

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Il videomaker Schepps ha quindi caricato, nella sua pagina personale di creativo all’interno della piattaforma stock, tutte queste clip categorizzandole genericamente sotto “Wine tasting visit”, ma anche specificatamente sotto “Taste of Italy”. Il filmmaker, di origini olandesi (vai tu a sapere se capiva qual era l’Italia e qual era la Slovenia), carica il materiale grezzo sulla piattaforma. E’ difficile orientarsi tra tutto questo materiale, bisogna stare attenti. Ed è qui che l’editor di Testa fa un errore madornale. Durante la selezione del materiale dalla pagina stock di Schepps prende delle clip senza (presumo) controllare dove sono state effettivamente girate queste immagini. Un errore sottile, ma che costa caro. Infatti, il materiale selezionato era girato in Slovenia.

Il video per ENIT viene così realizzato con un miscuglio di immagini stock e di computer grafica diventando virale, purtroppo, per il motivo sopracitato.

Qualche giorno fa ho letto un commento su LinkedIn di un esperto di comunicazione che in difesa del video realizzato da Testa affermava: “Lei non capisce allora il mondo della pubblicità. Armando Testa aveva un compito e ci è riuscito, quello che importa non è come è stato fatto ma il risultato. Quando Lei va ad un ristorante e ordina un piatto di un certo valore non si mette a questionare se la pasta è stata fatta al momento, se fossi straniera o se surgelata, lei mangia punto. Trovo queste polemiche di un assurdo al limite della ignoranza, come se a qualcuno in quel set importassi qualcosa se il vino fosse sloveno. Ma dai per favore.”

Quest’analisi mi trova in profondo disaccordo.

Prima di tutto perché mettere un vino sloveno non è coerente con la campagna di promozione che esalta il Made in Italy, le sue meraviglie, i suoi luoghi e di conseguenza i suoi prodotti orgogliosamente italiani. Come cavolo puoi pensare di mettere un prodotto straniero in una location straniera a tavola se parli orgogliosamente di italianità? Ripeto quello che ho detto qualche paragrafo fa: se i presupposti di questa campagna fossero stati diversi avrei accettato l’inclusione di un prodotto sloveno. Sarei stato contento che il Ministero del Turismo avesse esaltato le diverse comunità linguistiche presenti in questa nazione.

In secondo luogo, il bello dell’Italia è che un paese così variopinto, ricco di biodiversità, da Nord a Sud ed è quello che ci invidia un po’ tutto il mondo. Generalizzare su un prodotto è un vero autogol. A casa mia, a Trieste, mia madre quand’ero piccolo mi preparava i fusi istriani con il sugo di gallina che è un piatto completamente diverso dagli ziti al forno siciliani. Come si può quindi generalizzare questa cosa? A me piace provare qualcosa di nuovo ogni giorno.

Abbracciare la diversità e la complessità delle cose è per me uno dei pilastri fondamentali dell’essere un creativo e più semplicemente un curioso. Sennò, saremo vittime di una globalizzazione che appiattisce tutto e tutti e dove ci accontenteremo di comprare materiale stock qualsiasi, forse dalla Cina o dall’Australia o realizzata da un’intelligenza artificiale per parlare di una piccola (o grande!) cantina italiana.

 

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